Le rinuncie delle mamme

Le rinuncie delle mamme

Immagina di essere una professionista altamente qualificata.
Immagina di avere un lavoro che ti appassiona.
Immagina di guadagnare tanti soldi da poterti permettere il livello di vita che hai sempre sognato.
Immagina di sentirti rispettata e valorizzata.
Immagina di avere l’independenza economica che ti permetta rapporti salutari e liberi con gli altri adulti.
Lo stai immaginando? 
Adesso immagina di diventare mamma.
Immagina che le tue prospettive siano goderti le 16 settimane di maternità, per poi continuare la tua fiammante carriera in quanto puoi permetterti la miglior persona al mondo che si prenda cura del tuo bebè quando tu non ci sei.
Immagina che quel momento arrivi e di provare un miscuglio tra sollievo e tristezza. Sollievo perchè la maternità è più strapazzante del tuo lavoro di 10 ore tra squali d’impresa e del mondo del lavoro; e tristezza perchè in realtà non vorresti lasciare il tuo bebè con nessun’altro.
Immagina di essere nel tuo ufficio e di avvertire che in realtà non è quello che vorresti.
Immagina di decidere di rinunciare al tuo lavoro, al tuo status, alla tua autonomia per fare la mamma nel modo che tu liberamente decidi.
Immagina che passino i giorni, le settimane, i mesi, forse anche gli anni e di sentirti felice e soddisfatta per essere presente nella crescita dei tuoi figli, felice di sapere che stai investendo in qualcosa que nessuno altro possa dare loro. Felice perchè la tua testa, abituata ad analizzare tutto in modo molto razionale ed obiettivo, ti dice che sei indispensabile per i tuoi figli in questa fase del loro sviluppo.
Immagina che nonostante ciò, un’altra parte di te si senta stanca, esausta, aggressiva, suscettibile perchè la tua parte emotiva non si accontenta «dei vantaggi nel crescere direttamente i tuoi figli».
Immagina anni senza dormire ininterrottamente, senza una reale conversazione adulta, senza continue interruzioni quali «tetta»,»pipì», «prendimi in braccio», «non voglio», «voglio»…
Immagina che il tuo sostentamento non dipenda da te, bensì dal tuo compagno, o dai tuoi genitori, o dall’assitenza pubblica.
Immagina di accorgerti che intorno a te nessuno attribuisca valore a quello che fai, che tutti diano per scontato che sia un tuo dovere e niente più.
Immagina di volere il padre dei tuoi figli molto più presente durante la loro crescita e la risposta che ricevi quando affronti l’argomento sia: «io lavoro tutto il giorno per permetterti di giocare con i puppazzi!».

Immagina che ti classifichino come anti femminista, «pigra», «signora»,»hippy «, fondamentalista… Ti critichino per una cosa e per l’esatto contrario, perchè scegliere di fare la mamma non è ben visto in nessun ambiente tra quelli che prima frequentavi: sul lavoro, in polìtica, nella società, nemmeno nella tua famiglia….

Lo stai immaginando? 

Adesso immagina che in questo caos emotivo, fisico, sentimentale e sociale, ti giunga una proposta di lavoro.

Immagina che un cacciatore di teste abbia visionato il tuo profilo professionale e ti offra un lavoro. Addirittura migliore di quello che avevi lasciato.
Immagina che sentendo quanto guadagnerai, non puoi evitare di pensare al fatto che sono mesi che vesti capi acquistati nei  grandi magazzini, compri prodotti senza marca al supermercato, e che la cosa più simile ad una cena fuori è andare in un fast food con i bambini.
Immagina di sognare l’opportunità di riavere la tua vita, la tua autonomia, la tua libertà, la tua indipendenza, il tuo status, il tuo riconocimento, la tua «voce», dissoltisi ormai tra pianti e richieste dei bimbi.
Immagina di pensare a tutto ciò e di decidere che ancora non è il momento, che i tuoi figli sono ancora piccoli.
Puoi immaginare i sentimenti provati?
Puoi immaginare il senso di colpa che tutto ciò produce?
Colpa di desiderare di dire di sí a quell’offerta.
Colpa per sentirti triste nel dire di no.
Colpa perchè tutto ciò ti scuote, ti fa arrabiare, ti frustra e hai sfogato i tuoi sentimenti con 4 urla ai tuoi figli; e ciò ti fa pensare di essere un fiasco come mamma, o di essere una delusione per la crescita che desideri.
Colpa perchè alla fine è l’unica cosa che come donna abbiamo imparato: sentirci colpevoli di tutto, per tutto e per tutti.
Portiamo il carico più pesante della società, quello che nessuno riconosce, apprezza,  né tanto meno retribuisce.
Durante le campagne elettorali ci frustra vedere come nessuno sia interessato alla nostra condizione. Siamo stanche di vedere che l’unica opzione che ci offrono è quella di avere asili fin dalla nascita, o che il padre usufruisca di metà del periodo di maternità.
Come mamme stiamo frequentemente rinunciando: TUTTE.
Alcune rinunciano alla loro vita, altre ai loro figli.
Ci sono quelle che cercano di conciliare lavoro e figli, rinunciando ad avere tempo per loro stesse, o ad avere un’intimità con il loro compagno o con le loro amiche.
O semplicemente a dedicarsi al loro benessere facendo sport…che ne so.
L’unica cosa vera è che qualunque mamma tu conosca, lo è a patto di rinunciare a qualcosa.
La prossima volta che ti trovi con una mamma non la criticare.
Non le dire quello che deve o non deve fare.
Non la ignorare perchè sai che non potrà venire alla tua festa la sera, invitala comunque.
Non cadere in certezze e nemmeno in cliché.
Semplicemente dille:
«Sei molto coraggiosa, lo stai facendo molto bene e ti ammiro»
PS: Dedicato ad A. e a tutte le belle mamme che hanno deciso di vivere intensamente questo lungo, bello e a volte duro e solitario viaggio che è crescere i propri figli.  Ho imparato tanto di te,  di voi, che posso solo dirvi GRAZIE
Nohemí Hervada
Texto original en castellano: Las Renuncias de las Madres
Texto en inglés:  What mothers give up
Le rinuncie delle mamme

What mothers give up

Imagine you are a highly qualified professional.

Imagine you have a job you are passionate about.

Imagine you earn lots of money, which allows you to have the lifestyle you always dreamt of.
Imagine you feel you are respected and recognised.

Imagine you are financially independent, which means your relationships with other adults are free and healthy.

Can you imagine that?

Now, imagine you become a mother.

Imagine your plan is to enjoy those  weeks’ maternity leave, to then continue with your splendid career, since you can afford to pay the best person in the world to look after your baby while you are not around.

Imagine that moment arrives and you feel a mixture of relief and sadness. Relief, because you find maternity harder than your 10-hours-a-day job, surrounded by corporate and financial sharks. Then sadness, because you do not want to leave your baby with anybody else.

Imagine you are in your office and you feel that is not what you want to do.

Imagine you decide to give up your job, your status, your independence, so that you can be a mother in the way you freely choose to.

Imagine days, weeks and months go by, maybe even years, and you feel happy you are present in your children’s upbringing. Happy knowing you are investing in something nobody else can give them. Happy because your head, used to analysing everything in a cold and objective way, is telling you that you are indispensable for your children in this stage of their development.

Imagine that, despite all this, another side of you feels tired, exhausted, annoyed and susceptible, because for your emotional side, knowing the benefits of bringing up children is not enough.

Imagine you have not had a full night’s sleep in years, nor have you been able to hold an adult conversation without interruptions such as “Mummy I want booby”, “wee-wee”, “hold me”, “I don’t want”, “I want” …

Now imagine your income does not come from you, but from your partner, your parents, or a public welfare system.

Imagine you realise that nobody around you appreciates what you do. They take for granted it is your responsibility, and that is it.

Imagine you would love for your children’s father to get involved in their upbringing, and all you get when you talk about it is something like: “I work all day long so that you can stay home playing with dolls”.

Imagine you are criticised for being an anti-feminist, “slack”, “snobbish”, “a hippie”, a fundamentalist…  You are criticised for one thing and then for the right opposite too, because it seems that choosing to be a mother is not well looked upon in any environment you used to be a part of: in business, politics, society or your family…

Divi WordPress Theme

Can you imagine it?

Now imagine in that emotional, physical, anaemic and social chaos, you get a job offer.

Imagine some head-hunter has seen your professional profile and offers you a much better job than the one you gave up.

Imagine when you hear how much you will get paid, you cannot help but thinking about how many months you have been buying clothes in department stores, buying own-brand labels in the supermarket, and the closest you have had to eating out is going to a fast food restaurant with the kids.

Imagine you dream about that chance to regain your life, your autonomy, your freedom, your independence, your status, your recognition, your voice, which has become muffled by the children’s cries and demands.

Imagine you think about it and decide that it is not the time yet, that your children are still young.

Can you imagine the feelings you meet?

Can you imagine the sense of guilt this generates?

Feeling guilty for wanting to accept that offer

Feeling guilty for being sad when turning it down

Feeling guilty because this occurrence troubles you, it makes you angry and it frustrates you, and you have let it all out by shouting at your kids, which makes you feel you are a failure of a mother or a fraud to the upbringing you want to provide them with.

Feeling guilty because at the end of the day, that is all we have learnt as women: to feel guilty for everything, about everything and about everyone.

We carry the heaviest load of society, which nobody recognises, appreciates or remunerates. In times of electoral campaigns it is frustrating to see how nobody is interested in our situation. We are fed up of seeing that the only option available to us is to resort to nurseries since birth, or that the father requests half of the maternity leave.

Mothers Job

 

Mothers are constantly giving up: ALL OF US.

Some give up their lives, some others give up their children.

Some try to balance it all out and give up having time to themselves, having private time with their partners, spending time with their friends, or investing in their own health by exercising… who knows…

The truth is that any mother you know is so at the expense of giving up.

Next time you come across a mother please do not criticise her.

Do not tell her what she should do or how to do it.

Do not ignore her just because you know she will not be able to come to your evening party. Invite her along all the same.

Do not state the obvious or use set phrases.

Just tell her:

 

“You are very brave, you are doing very well and I admire you”.

PS: Dedicated to A. and all those beautiful mothers who have decided to live intensely this long, beautiful, and sometimes hard and lonely journey, which is bringing children up. I have learnt so much from you, from all of you, that all I can say is THANK YOU.

Greetings.
@NohemiHervada

Traducción del texto original en castellano «La renuncia de las Madres» de Nohemí Hervada, realizada por Becks13 @V3rsion13
Texto en italiano : Le renuncie delle mamme

Le rinuncie delle mamme

Las renuncias de las madres

Imagina que eres una profesional altamente cualificada.
Imagina que tienes un trabajo que te apasiona.
Imagina que ganas mucho dinero que te permite tener el nivel de vida que soñabas.
Imagina que sientes que eres respetada y valorada.
Imagina que tienes independencia económica que repercute en que tus relaciones con el resto de adultos sean sanas y libres.

¿Lo imaginas?

Ahora imagina que te conviertes en madre.

Imagina que tus expectativas son  disfrutar de esas 16 semanas de baja y luego seguir con tu flamante carrera porque puedes permitirte pagar la mejor persona del mundo para que cuide a tu bebé mientras tú no estás.
Imagina que llega ese momento y  sientes una mezcla entre alivio y tristeza. Alivio porque la maternidad te resulta más agotadora que tu trabajo de 10 horas entre tiburones empresariales y económicos, y tristeza porque en el fondo no quieres dejar a tu bebé con nadie.
Imagina que estás en tu despacho y sientes que eso no es lo que quieres hacer.
Imagina que decides renunciar a tu trabajo, a tu estatus, a tu independencia, por ejercer de madre del modo que tú libremente escoges.
Imagina que pasan los días y las semanas y los meses, quizás los años y te sientes feliz de hacerte presente en la crianza de tus hijos, feliz de saber que estás invirtiendo en algo que nadie más puede darles, feliz porque tu cabeza acostumbrada a analizarlo todo fría y objetivamente te dice que tú eres indispensable para tus hijos en esta etapa de su desarrollo.
Imagina que a pesar de eso, otra parte de ti se siente cansada, exhausta, molesta y susceptible porque tu parte emocional no se contenta con saber «los beneficios de criar a los hijos».
Imagina que llevas años sin dormir seguido, sin mantener una conversación adulta sin interrupciones de «teta», «pis», «cógeme», «no quiero», «quiero»….
Imagina que ahora tu economía no depende de ti, sino de tu pareja, o de tus padres, o de un sistema público.
Imagina que te das cuenta que a tu alrededor nadie valora lo que haces, que se da por sentado que es tu obligación y punto.
Imagina que te gustaría que el padre de tus hijos se implicara en su crianza y lo que recibes al hablar del tema es un : «yo me paso el día trabajando para que tú puedas quedarte en casa a jugar a las muñecas».
Imagina que te critican por anti feminista, por «floja», por «señorona», por «hippie», por fundamentalista…. Te critican por una cosa y por la contraria, porque al parecer decidir ejercer de madres no está bien visto en ningún sector de los que antes frecuentabas: ni en los negocios, ni en la política, ni en la sociedad, ni en tu familia…

Divi WordPress Theme

¿Lo imaginas?

Ahora imagina que en ese caos emocional, físico, anímico y social, recibes una propuesta de trabajo.

Imagina que un headhunter ha visto tu perfil profesional y te ofrece un trabajo mucho mejor que el anterior que dejaste.
Imagina que al oír la cifra de lo que vas a cobrar no puedes evitar pensar que llevas meses vistiendo ropa comprada en grandes almacenes, comprando marcas blancas en el super, y que lo más parecido a cenar fuera es ir a un restaurante de comida rápida con los niños.
Imagina que sueñas con esa posibilidad de recuperar tu vida, tu autonomía, tu libertad, tu independencia, tu estatus, tu reconocimiento, tu «voz» que se ha diluido entre los llantos y demandas de los pequeños.
Imagina que lo piensas y decides que todavía no es el momento, que tus hijos son pequeños aún.
¿Puedes imaginar los sentimientos encontrados ?
¿Puedes imaginar el sentimiento de culpa que esto genera?
Culpa por desear decir que sí a esa oferta
Culpa por sentirse triste al decir que no
Culpa porque este suceso te revuelve y te enfada y te frustra y lo has pagado pegando 4 gritos a tus hijos, lo que te hace creer que eres un fracaso de madre o un fraude a la crianza que quieres.
Culpa porque al fin y al cabo es lo único que hemos aprendido como mujeres:  a sentirnos culpables de todo, por todo, y por todos.
Llevamos la carga más pesada de la sociedad, la que nadie reconoce, ni valora, ni remunera.
En época de campañas electorales nos frustra ver cómo nadie está interesado en nuestra situación. Hartas de ver que la única opción que se nos plantea es tener guarderías desde el nacimiento, o que el padre coja la mitad del permiso de maternidad.

Forges-Ama de casa
Las madres estamos constantemente renunciando: TODAS.

Unas renuncian a su vida y otras a sus hijos.
Algunas intentan compaginarlo todo y renuncian a tener tiempo para ellas, o a tener tiempo de intimidad con su pareja,o con sus amigas, o a invertir en su salud haciendo deporte… qué sé yo.
Lo cierto es que cualquier madre que conozcas lo es a costa de renunciar.
La próxima vez que te encuentres con una madre por favor no la critiques.
No le digas lo que tiene que hacer o cómo.
No la ignores solo porque sabes que no va a poder ir a tu fiesta nocturna, invítala igual.
No caigas en obviedades y frases hechas.
Sencillamente, dile:

«Eres muy valiente, lo estás haciendo muy bien y te admiro»

PD: Dedicado a A. y a todas las preciosas madres que han decidido vivir intensamente este largo, precioso y a veces duro y solitario viaje que es el de criar hijos. He aprendido tanto de ti, de vosotras, que solo puedo deciros GRACIAS
@NohemiHervada

Texto en inglés:  What mothers give up
Texto en italiano : Le renuncie delle mamme


Las renuncias de las madres –
(c)2015 -Nohemi Hervada Palou

Si te gustó este post compártelo desde su enlace original. Di #NOalPLAGIO
Este artículo está incluído en mi libro «La Maternidad sin Tabúes»

La maternidad sin tabues

Quizás te guste leer:
Vender el Alma por un Abrazo
Ser Madre: Perder libertad, ganar otras muchas cosas

Cuando te miras qué ves

Cuando te miras qué ves

Ser mujer parece que va inexorablemente unido a estar a disgusto en nuestra piel. Tanto es así que hay toda una industria multimillonaria creada para vendernos la ilusión de cambiarnos y llegar a gustarnos. Es una realidad que en la mayoría de los casos ese disgusto obedece a un falso concepto sobre nosotras mismas, alimentado con expectativas irreales.
En ese caldo de cultivo ser madre y entregarse al cuidado de nuestras criaturas ha resultado para muchas mujeres un bálsamo donde por fin han encontrado la paz con su cuerpo. Otras, sin embargo, experimentan precisamente por esa entrega que se requiere, una aversión a todo lo que implique el contacto estrecho con el bebé.
Si además añadimos que la maternidad se suele vivir en nuestra sociedad como un estigma, con mujeres que pasan de ser libres, triunfadoras, independientes, valoradas, a miembros de un grupo desfavorecido y apartado  socialmente del resto, es frecuente que para muchas mujeres, pasada la etapa inicial de vuelco en el bebé empiece una etapa complicada de reencontrar, o de encontrar, a la mujer dentro de la madre.
Algunas mujeres descubren su parte más femenina justo después de haber sido madres. Y se sorprenden descubriendo facetas en ellas mismas totalmente desconocidas. Como diría Jean Shinoda pasan del arquetipo Hera o Atenea al de Afrodita.
Todos estos cambios son difíciles de digerir cuando además hay un bebé o niño del que muchas veces somos únicas cuidadoras la mayor parte del tiempo.
Nos volcamos en nuestros hijos, lo hemos decidido así, nos llena ese papel, pero a veces nos sentimos como difuminadas, desdibujadas, lo que se ha dado en llamar «No salir en la foto».
Guardamos y atesoramos testimonio de cada etapa del crecimiento de nuestros hijos y no olvidamos que ellos son los protagonistas de su historia, pero sí olvidamos que nosotras hemos de serlo de la nuestra.
No extraña comprobar la profunda crisis que experimentan muchas mujeres cuando han pasado los años y se dan cuenta que lo único que hacían era orbitar alrededor de sus hijos.
En EL Concepto del Continuum, su autora Jean Liedloff , explica que esta no es la forma lógica de criar hijos. Ellos vienen preparados para aprender de la vida de los adultos. Vidas ricas, llenas de quehaceres interesantes y con propósito. Atendiendo a los hijos, pero no desatendiéndose a sí mismos.

Cuando un adulto, principalmente la madre, deja toda su vida para dedicarse a contemplar a su hijo, las implicaciones emocionales para ese bebé son enormes. Y el mensaje intrínseco que recibe es que su madre no tiene nada interesante que aportar a su aprendizaje.
No podemos criar hijos con buena autoestima si no reciben el mensaje real de que sus padres, principalmente su madre por la gran influencia de esta figura en la primera etapa de vida de los bebes,  tiene buena autoestima.
Si nuestro álbum de fotos familiar está lleno de fotos en las que no salimos… algo pasa.
Te propongo algo: Dedícate unos minutos a mirarte frente al espejo y dime…

«Cuando te miras ¿qué ves?»

Este domingo 25 de Enero si estás en Las Palmas de Gran Canaria te propongo un círculo de reflexión sobre este tema.
Dentro del marco de actividades del 1º Aniversario de Espacio Vida.
¿Te apuntas?

Aniversario Espacio Vida

Taller Prevención Violencia de Género en la Villa de Moya

Taller Prevención Violencia de Género en la Villa de Moya

Este taller me reporta grandes satisfacciones y no solo a nivel profesional.
He escrito en otras ocasiones que he vivido muy de cerca la violencia, desde niña, en muchas de sus facetas y es un tema al que soy especialmente sensible, por eso  es tan importante para mi que las instituciones y organismos públicos apuesten por este tipo de iniciativas.
Gracias al equipo del Ayuntamiento de la Villa de Moya por confiar en mi trabajo  y contratarme para impartir 2 talleres en su I Encuentro de Mujeres Villa de Moya.
No os voy a aburrir contando lo que hicimos allí, solo os voy a poner unas fotos para que respiréis un poco del ambiente.
Fotos de la presentación del evento, de la primera conferencia a cargo de la presidenta de CERES, y ya después, fotos de mis talleres.

I ENCUENTRO DE MUJERES VILLA DE MOYA 2014

I ENCUENTRO DE MUJERES VILLA DE MOYA 2014

Os copio la información sobre el I Encuentro de Mujeres Villa de Moya 2014, en el que participaré impartiendo mi taller  «Empodérate-Especial Prevención Violencia de Género»
En el marco de las actividades propuestas desde el Servicio de Prevención y Atención Integral a Mujeres y Menores Víctimas de Violencia de Género queremos invitarles al I Encuentro de Mujeres de la Villa de Moya que se celebrará el próximo 15 de noviembre enmarcado dentro de la Conmemoración del 25 de noviembre, Día Internacional Contra la Violencia de Género.
Adjunto se envía la información del Encuentro así como el formulario de inscripción a los talleres, recordándoles que son plazas limitadas, por lo que tendrán que marcarlos por orden de preferencia.
Agradeciéndoles de antemano su participación
Un cordial saludo
Equipo del Servicio de Prevención y Atención Integral a Mujeres y Menores Víctimas de Violencia de Género de la Villa de Moya
I ENCUENTRO MUJERES VILLA DE MOYA 2014
I ENCUENTRO MUJERES VILLA DE MOYA 2014
Si quieres participar descárgate el Formulario de Inscripción  y envíalo al correo electrónico que encuentras en el mismo.
Empoderamiento: claves prácticas

Empoderamiento: claves prácticas

Anoche tuve el honor de dar una clase como experta en el programa educativo La Pedagogía Blanca.
Si ya es enriquecedor que cuenten conmigo para un programa de Coaching educativo de ese nivel, hacerlo junto a Hana Kanjaa, multiplica la satisfacción.

La sesión de anoche trataba sobre Empoderamiento, y fue un placer oír a Hana  hablar sobre el miedo y cómo aprender a gestionarlo.

Si aún hay alguien que no la ha escuchado, os animo a ver su canal de youtube. Seguro que  no os deja indiferente.

Anoche tuve la oportunidad de decirle en directo que esta charla que dio en el TEDxCibeles es una de esas que he oído muchas veces, emotiva,inspiradora y  sobre todo animadora.

Sin duda, hacerse experta en aprender a gestionar el miedo y usarlo como catapulta es una de las claves del éxito en la vida, en la personal y en la de emprendedora.

Tras el subidón de oír casi una hora a Hana hablar ,como ella sabe, sobre un tema que domina, intenté aportar mi punto de vista sobre por qué solemos hacer tantas cosas desde el miedo limitante.

Creo que es un trabajo interesante y necesario reconocer desde dónde hacemos las cosas, y tomar conciencia, para encontrar un punto de anclaje desde el cual tomar impulso hacia donde queremos ir.

No hacerlo nos convierte en astronautas flotando en el espacio, yendo a la deriva sin control.

Astronauta flotando

 

Empoderarse es tomar acción, decidir y asumir las consecuencias de nuestras decisiones. No delegar la autoridad que no es delegable en otros.

No siempre es fácil, no tenemos el hábito creado en la mayoría de los casos, pero es posible.

Tips para Empoderarse

  • Usa el miedo como  motor, no como paralizador.
  • No uses la mentira para eludir tu responsabilidad
  • Trabaja tu ACTITUD
  • Que tu  lenguaje corporal esté en sintonía con tu mensaje
  • EScoge tus batallas
  • No dejes que otros controlen tus emociones
  • Estableces tus límites innegociables y mantenlos

Estos y otros tips compartí anoche con los alumnos de la Pedagogía Blanca.

¿Y tú?

¿Quieres aprender más sobre el tema?

¿Te gustaría tener más herramientas para cambiar la dinámica que llevas hasta ahora
y tener más control sobre tu vida?

¿Quieres claves prácticas para implementar en tu día a día?

Foto de la fachada de una casa en Bristol UK

Pincha para más información

¿Sabes comunicar con tu cuerpo?

¿Sabes comunicar con tu cuerpo?

¿Sabías que al comunicar tu cuerpo habla más que tus palabras?

EL lenguaje no verbal compone más de un 70% del mensaje que transmitimos , si incluímos la voz,  el tono y modulación ese porcentaje aumenta todavía más.
Cuando uno toma conciencia de esta realidad lo más inteligente es intentar aprovechar ese poder, utilizarlo a nuestro favor para no perder fuerza con nuestro discurso.

En mis cursos de comunicación propongo varias formas de trabajar con el lenguaje corporal.
Lo primero por supuesto es reconocer cómo manejamos nuestras herramientas. Si a la hora de comunicarnos somos fluidos o si el nerviosismo al hablar ante otros nos vuelve rígidos o histriónicos o tendemos a apoyarnos en movimientos repetitivos sin demasiada coherencia.

Algunas personas tienen un don natural para hablar fluidamente y que el cuerpo acompañe, pero otros tienen que trabajar y practicar.

Va por delante que lo primero para que el lenguaje verbal apoye nuestro discurso es que sea cierto, es decir, que nos creamos lo que estamos contando, o si no se nos saldrán las mentiras «por las costuras».

Cartel de la serie "Lie to me"

Cartel de la serie «Lie to me»

Pero es verdad que el nerviosismo puede hacer que perdamos credibilidad, o parecer poco confiables, así que os propongo un ejercicio que aparte de ser provechoso puede ser muy divertido.

Cuando cantamos abrimos las compuertas de las emociones, y es fácil que nuestros cuerpo y nuestra expresión facial trabajen en sintonía con la letra. Nos pasa a casi todos, así que  si eres de los que te cuesta expresar al comunicar en público, si eres de los que tiende a parecer frío o rígido, canta.
Si puedes hazlo frente a un espejo, o mejor aún grábate, e intenta exagerar con tus movimientos y expresiones lo que la letra dice.
Si te has grabado puedes visionar la grabación y tendrás una idea más real de en qué cosas tienes que mejorar.

Mira cómo  estas personas cantan una canción en LSE (Lengua de Signos Española). Observa cómo todo el cuerpo comunica, la cara, el rostro, las manos, los movimientos que pueden ser lentos o rápidos marcando así diferentes grados de intensidad, diferentes emociones.
Es un ejercicio magnífico para explorar todas las posibilidades del cuerpo a la hora de transmitir.

 

 

Si hemos practicado este ejercicio «exagerado», luego en un ámbito más natural, nos será más fácil  comunicar con el cuerpo, con la expresión, con nuestros movimientos, con cómo ocupamos el espacio en una sala. Perder el reparo a usar todas nuestras herramientas nos hará ganar  en expresividad y en poder de convicción.

Gracias a Romina Bueno, del Centro  Psicopedagógico Aprendiz, y  alumna de mi curso de  Asesora de Porteo Mimos y Teta por enseñarme el fascinante mundo del LSE, donde saben muy bien que ellos no se limitan a traducir palabras… sino a expresar mensajes en toda su dimensión.

Y a otras cositas que he encontrado interesantes sobre la expresión con el LSE, mirad esta incluso sentada:

Disfrutad con el ejercicio y contadme vuestras impresiones y progresos <3

Talleres en Algeciras y Sevilla

Talleres en Algeciras y Sevilla

Dicen que el círculo es la figura geométrica más perfecta… yo que no sé demasiado  de geometría, no sé si es cierto.

Lo que sé, es que es la figura ideal a formar cuando se reúne  un grupo de personas  a hablar, a mirarse, a compartir…Se crea algo especial, todos formando parte de algo,  nadie por encima, ni al frente de nadie.

Y creo que en círculo la energía se mueve entre todos, que al ser una figura cerrada, no se dispersa… sino que va pasando y recogiendo y repartiendo… como algo mágico que crece.
Quizás por eso cuenta la leyenda que el Rey Arturo mandó construir una mesa redonda…

 

Esa es la forma que solemos elegir los grupos de mujeres*, al estilo de las reuniones alrededor del fuego de casi todas las culturas. En ese caso todas recibiendo luz y calor del centro, de la hoguera. (más…)